ORIOR, IL DEBUTTO DISCOGRAFICO DELLA PIANISTA VALENTINA CASESA

“Se qualcuno pensa che io abbia deciso di realizzare un disco, si sbaglia. Tecnicamente ho solo iniziato ad unire dei punti, situati in varie parti del tempo e del globo terrestre, per cercarne come un’essenza comune. Non è facile viaggiare costantemente, prendere aerei, fare bagagli, magari hai anche lavoro, casa, famiglia, devi vivere in qualche modo. Ma nulla ti vieta di viaggiare resistendo, anche ad occhi aperti, sentire gli odori dei luoghi in cui sei, fotografarne i colori”. Nasce così un nuovo album pianistico di Almendra Music, ancora una volta da percorsi, da geografie umane e artistiche, da sensazioni tradotte in musica e offerte all’immaginazione e alla sensibilità dell’ascoltatore: è Orior, debutto discografico di Valentina Casesa. Dopo Ambienti di Giovanni Di Giandomenico, per pianoforte, pianoforte preparato ed elettronica, la indie-label siciliana sottolinea con un nuovo disco la propria idea di “Almendra piano album”, caratterizzati ciascuno dal protagonismo dello strumento e da un approccio compositivo di volta in volta diverso ma coerente, riconoscibile, e dai risultati pregnanti sia intellettualmente che emotivamente.

Compositrice e pianista, Valentina Casesa (1981) è autrice di musica strumentale e d’opera, musica per le immagini e per la danza. Le sue composizioni sono narrazioni in continua evoluzione, senza certezza di sviluppo e fine, moti continui che avvolgono in calmi paesaggi o sorprendono con scarti improvvisi, e coinvolgono ascoltatori da qualsiasi background sollecitando emozioni e immagini profonde, complice anche una ricerca del colore strumentale sempre ben ponderata e spesso sorprendente. Diplomata con lode in pianoforte, composizione e direzione di coro al Conservatorio Bellini di Palermo, è co-fondatrice e pianista del Trio Artè, e ha scritto opere di vario genere e di notevole impatto – da Perceptions in onore di Sofia Gubaidulina a Aspettando Violetta, realizzata in Piazza Maggiore a Bologna in memoria delle vittime della strage del 2 Agosto 1980 e trasmessa da Rai TV. Orior è il suo primo album e anticipa un nuovo lavoro, di più lunga durata, previsto per il 2017.

Già dal titolo – “orior, orieris” in latino significa nascere, cominciare – si percepisce il senso di novità, quasi primaverile, del lavoro della Casesa. Non solo un lavoro di presentazione, non un semplice biglietto da visita, ma l’inizio di un cammino, il primo passo di un percorso, un itinerario tra ricordi e note, che raccoglie sollecitazioni tanto dal suo lavoro come pianista per la danza (come nella traccia d’apertura, Untitled #1) quanto dall’esperienza sedimentata in Sicilia di memorie wagneriane (come nelle due diverse interpretazioni di Saracina), speziata anche da echi di Sakamoto e Satie, e sedimentazioni dal grande repertorio tardoromantico. Immaginazione che muta in musica in presa diretta, prodotto live-in-studio senza tagli ed editing. Come dichiara l’autrice: “Ogni partitura rappresenta un viaggio, per me e per chi ascolta, e così anche ogni registrazione, perché durante il lavoro in studio non hai mai una percezione definitiva, se non solo dopo aver affrontato un percorso, un viaggio, attraverso lo strumento. Riesco a scrivere soltanto immaginando. Ricreare attraverso il pianoforte un luogo, un accadimento, un profumo, colore, emozione, è il modo in cui cerco di comunicare col mondo, sentendone profondamente, a volte anche violentemente, ogni più lieve inflessione e sfumatura. Per questo la mia ricerca si fonda sull’essenza del suono, il quale essendo mezzo di trasmissione di energia, percorre non solo gli spazi ma è capace di entrare dentro l’anima fisicamente, ponendosi in risonanza con l’uomo”.

Orior è composto da cinque brani: una sorta di piccolo scrigno ‘modern classical’ che Valentina ha sigillato prima di partire per questa avventura discografica che la vedrà tornare in studio per il suo album di lunga durata nel 2017. Ciononostante, Orior è un’opera di significativa meditazione sul suono e sul suo significato più profondo, prendendo per mano l’ascoltatore: “La ricerca di “essenza del suono” è stata la estrema concentrazione sulla vita del suono e sulle sue trasformazioni, per ogni brano, per ogni singola frase musicale, ogni nota, ogni singolo respiro, la trasformazione degli armonici in altri armonici, anche con l’uso del pedale come ulteriore e specifico strumento all’interno del pianoforte. Mi è piaciuta molto l’idea – prima con la registrazione in presa diretta e poi col missaggio – di sentire ogni suono vivo, presente, e di portare l’ascoltatore dentro il suono avvolto dallo stesso, come se il mio suono fosse una calda coperta in una fredda sera d’inverno”.

Orior esce martedì 27 dicembre 2016 in download e streaming su BandCamp e a seguire su tutte le piattaforme digitali (distr. The Orchard). Presto sarà disponibile anche in formato fisico: una preziosa edizione limitata, un cofanetto di legno contenente fogli, rami, memorie e tracce di percorsi, con download-code e invito al viaggio stampati sul fondo.

La prossima release Almendra Music, ottava tra le quattordici in calendario fino al prossimo maggio 2017, è in programma martedì 17 gennaio 2017: un nuovo avvio di percorso per Marco Betta, compositore e interprete in solo piano, con electronic remixes/reworks a cura di Giovanni Di Giandomenico e Naiupoche.

04_valentinacasesa-ph_alessandro-ingoglia-post_3112htmBIOGRAFIA DI VALENTINA CASESA

Orior: una conversazione con Valentina Casesa. 

L’ultimo disco Almendra Music, Ambienti di Giovanni Di Giandomenico, era incentrato sui luoghi. Partiamo proprio da qui perchè anche il tuo lavoro si muove intorno ai luoghi, al movimento, alle geografie umane e artistiche. Non a caso hai affermato di aver voluto “unire dei punti per cercare un’essenza comune”.

Si, ogni partitura rappresenta un viaggio, per me e per chi ascolta, e così anche ogni registrazione perché durante il lavoro in studio non hai mai una percezione definitiva, se non solo dopo aver affrontato un percorso, un viaggio, attraverso lo strumento.  Riesco a scrivere soltanto immaginando. Ricreare attraverso il pianoforte un luogo, un accadimento, un profumo, colore, emozione, è il modo in cui cerco di comunicare col mondo, sentendone profondamente, a volte anche violentemente, ogni più lieve inflessione e sfumatura. Per questo la mia ricerca si fonda sull’essenza del suono, il quale essendo mezzo di trasmissione di energia, percorre non solo gli spazi ma è capace di entrare dentro l’anima fisicamente, ponendosi in risonanza con l’uomo.

Ovviamente la mia è una ricerca, non dico di aver trovato “Il Modo”, e mi auguro di non trovarlo mai, così avrò sempre stimoli per scrivere, raccontare e comunicare.

Questo disco mostra un tuo approccio alla scrittura quasi “narrativo”. Ogni brano nasce da “una necessità”…

Esattamente, “ricreare/trasformare” è il modo in cui le mie emozioni ed i miei “viaggi” prendono una forma musicale: la trasformazione di qualcosa è un racconto che avviene nel tempo. Poi vi sono composizioni che nascono con una facilità estrema, senza alcun cambiamento o ripensamento in scrittura, e altre invece sono così dense, complesse, che a causa del loro carico si ha quasi la necessità di “vomitare” tutto quello che si ha dentro. Mi dispiace utilizzare un termine così forte, ma ora non saprei come altrimenti definire un processo compositivo a volte, per me, così viscerale.

Il disco è composto da brani che hanno origini e provenienze diverse. A lavoro concluso, quale pensi sia il filo conduttore che li lega?

Se ogni brano è un viaggio, il filo comune tra tutti è il fatto che io, componendo e suonando, ho realizzato il mezzo di trasporto. Lascio quindi i dettagli della risposta a chi ascolta, in viaggio con me.

In questo cammino di ricerca – tu stessa parli di brani come “creature viventi” – è stato decisivo il lavoro sul suono. Ci spieghi meglio premesse e procedimento?

Si, questa è una domanda complessa. Entrando negli studi Almendra, da principio, pensavo di dover semplicemente registrare, ed ero anche convinta che tutto sarebbe venuto fuori in modo scontato, come in una qualsiasi sessione di registrazione: arrivi preparata, si prova il pianoforte, si fa qualche ripresa audio, si ascolta e si ritorna ad incidere la versione definitiva. Tutto ciò non è avvenuto! Ho sì provato il pianoforte e sentito qualche prova di registrazione, ma poi Gianluca mi ha invitato a una costante concentrazione sul suono, istante per istante: “tieni il suono!”, la tensione, la vibrazione delle corde, e la mia, in ogni nota. E’ un operazione complessa da definire, provo a essere più chiara: ogni suono nasce e muore, oppure si trasforma in altro suono. La ricerca di “essenza del suono” è stata la estrema concentrazione su questa vita del suono e sulle sue trasformazioni, per ogni brano, per ogni singola frase musicale, ogni nota, ogni singolo respiro, la trasformazione degli armonici in altri armonici, anche con l’uso del pedale come ulteriore e specifico strumento all’interno del pianoforte. Mi è piaciuta molto l’idea di sentire ogni suono vivo, presente, e di portare l’ascoltatore dentro il suono, avvolto dallo stesso, come se il mio suono fosse una calda coperta in una fredda sera d’inverno. 

Questo è il tuo debutto discografico, ma non compositivo. Un lavoro importante nella tua storia è Con un soffio di Vento: che differenze ci sono rispetto ai brani del piano solo?

“Con un soffio di Vento”, sicuramente un lavoro impegnativo, è un’opera da camera di cui ho realizzato sia libretto che musica. Si tratta di una storia intensa, sofferta, il cui tema è l’assenza dell’uomo e la percezione della presenza nonostante l’apparente morte. Che si tratti poi di morte fisica o mentale, intellettuale, questo ovviamente non è espresso palesemente all’interno dell’opera. E’ stata una mia prima dichiarazione di vita, reazione alle assenze vissute, e quindi di trasformazione del mio passato e del mio vissuto. Vi ho espresso la mia visione di luce e di buio, ma con la volontà di dare una spinta propulsiva, diciamo un’accelerazione alla mia esistenza.

Questi brani per pianoforte invece, dal punto di vista della mia storia personale, rappresentano me dopo questa “dichiarazione” di vita. Quindi attraverso questi brani, peraltro anticipazione di un album di più lunga durata, già in preparazione, dichiaro al mondo di essere ufficialmente in viaggio (e sono solo all’inizio)!

Cosa ascolta di solito Valentina Casesa? 

Diciamo che non ho il famoso “cantante preferito”, non sono appassionata di musica “da classifica”, ma amo ascoltare un po’ di tutto. Adoro ascoltare soprattutto la musica dei miei amici compositori, le musiche di oggi, le colonne sonore dei film, sia nel loro contesto che fuori, le commistioni sonore di ensemble strumentali poco comuni, l’utilizzo delle voci anche come timbri strumentali.

Mi appassiona ogni musica che sia in grado di trasmettere vera energia ed odio tutto ciò che risulta essere profondamente “costruito” e che non dia all’uomo-ascoltatore un’immagine vera dell’uomo-artista.

Quali sono i tuoi artisti prediletti, quelli con cui si cresce e ci si confronta?

Adoro Schumann, Sting, Ligeti, Bach, Britten, Takemitsu, Sakamoto… Volutamente citati così, senza una classifica e senza un prima e un dopo. In realtà preferisco anzitutto confrontarmi con i miei amici compositori e musicisti, quelli con cui ho vissuto gli anni di studio in Conservatorio o semplicemente coloro che ho avuto modo di incontrare nel corso della mia vita. Ho per esempio un bel rapporto, di amicizia e di profonda stima artistica, con la compositrice Barbara Rettagliati, mia prima insegnante di composizione, spesso parliamo di scelte compositive, d’orchestrazione. Anche con Mirko e Giorgio, due terzi del Trio Arté, coi quali ho un rapporto decennale, per cui ci ritroviamo costantemente a parlare, durante le prove del Trio, di aspetti compositivi dei brani oggetto di studio, e delle mie composizioni; per la scrittura degli archi è bello averli vicini, anche per un parere nelle prime fasi sperimentali di un brano.

Quando viene fuori un lavoro nuovo c’è anche l’aspetto più simpatico, negli scambi tra colleghi ed amici, di frasi del tipo: “Sono in ritardo sulla consegna del brano… Ma ho già detto che mi mancano solo le ultime battute!”. E’ in quel preciso momento, negli scambi tra colleghi, che comprendi che scrivere musica è decisamente una passione, e non può essere solo un lavoro realizzato a tavolino. E spesso le scadenze delle consegne non aiutano, ma alla fine, tra mestiere e rapporti, quasi magicamente, si riesce sempre a far tutto.

La prossima uscita Almendra Music – prevista per il 17 gennaio 2017 – riguarda Marco Betta: quanto è stata importante questa figura per il tuo percorso di compositrice?

Tanto, ma non solo perché Marco è stato colui che mi ha accompagnato nel percorso di formazione fino al conseguimento del biennio di composizione, ma anche sotto il profilo della comprensione di ciò che sono artisticamente, il mio Maestro. Credo che quest’aspetto non sia scontato, e oggi che a mia volta insegno posso dirlo con certezza. Molti docenti mirano esclusivamente a fornire un bagaglio, sia pure importante, attraverso l’insegnamento delle materie; davvero pochi sono quelli che mirano alla crescita dell’individuo e della sua identità, alla conoscenza delle potenzialità degli allievi. Marco appartiene a questa seconda categoria di docenti, oltre ad essere un fantastico compositore  (mi sembra quasi superfluo e riduttivo ricordare le sue abilità compositive).

Dopo il percorso in conservatorio, ciò che rimane è infatti un rapporto basato sul rispetto e sulla stima reciproca tra colleghi, ed una bellissima amicizia di cui sono proprio felice.

 

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