Sanità finestra della civiltà. Il focus di Giuseppe Rocco

Numero chiuso per accesso alla laurea in Medicina, in una Nazione considerata la più longeva d’Europa e quindi in presenza di anziani; circa centomila ammalati di schizofrenia abbandonati nelle famiglie, con scarsi sostegni della USL; pronti-soccorso ormai divenuti lenti soccorso; 70 mila posti letto ridotti in dieci anni; prenotazione esami a distanza di mesi; viste mediche standardizzate a 15 minuti; freni alla ricerca da parte delle case farmaceutiche; farmacie con code stressanti. Sarebbe opportuno fissare una piattaforma di rivendicazioni per urlare in piazza e chiedere il salvataggio della sanità, proprio come baluardo della civiltà. Non sono tutte queste motivazioni sufficienti per offrire al lettore una situazione scellerata della sanità italiana. Aggiungasi che una volta la professione del medico era una vocazione; oggi il medico è un tecnico: legge le analisi a guisa di un robot e solo pochi si sforzano per aiutare il malato.

Dinnanzi alla caduta travolgente della potenzialità, il popolo italiano dovrebbe insorgere e pretendere il ripotenziamento delle strutture a beneficio dei cittadini; invece gran parte scende in piazza per scatenare la furia contro il “green pass”, nelle scellerate battaglie per le vie delle città. Avvertiamo una canalizzazione di protesta per dettagli della vita e tralasciamo la lotta per la sopravvivenza e per un posto letto in ospedale. Ebbene un manipolo di esaltati protesta energicamente contro un pezzo di carta (green pass), ma non si preoccupa per la mancanza di posti letto o necessità di attendere diversi mesi per una visita medica o esame diagnostico. Credo che tutti i cittadini onesti andrebbero in piazza a protestare.  D’altronde i movimenti sindacali si sono impermalositi per lo slittamento da quota 100 a 102, nel meccanismo pensionistico, offrendo uno scenario squallido. Non hanno ben capito l’evoluzione storica, che ha determinato l’allungamento della vita e per fortuna soprattutto in Italia, ritenuto il popolo più longevo d’Europa, non hanno compreso la dignità dell’uomo, il quale all’età di 60-62 anni si trova nelle piene forze lavorative e in grado di esprimere una forte dignità nella società; rimanere inattivo come pensionato può ridurre le spinte effettive di vita e l’entusiasmo necessario per la sopravvivenza. Non ricordano che i pensionamenti precoci gravano sul bilancio dell’INPS e quindi dello Stato, incapace di sopportare enormi pesi.

L’abbinamento sanità e civiltà non è una battuta ad effetto, non è un postulato, ma una episteme, cioè una verità certa, prendendo lo spunto dalla filosofia. Infatti con termine episteme si indica la conoscenza certa e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire, ovvero quel sapere che si stabilisce su fondamenta certe, al di sopra di ogni possibilità di dubbio attorno alle ragioni degli accadimenti.[1] 

Nel tentativo di salvezza dal covid 19, abbiamo potuto constatare alcuni frammenti di abbandono dell’etica. La Svezia, ritenuta una delle più civili nazioni, e la Cina, forse non troppo civile, hanno ufficialmente deciso di non ricoverare gli ultra ottantenni, lasciando una grande amarezza sul viver civile. Queste tecniche sono il retaggio delle tribù indiane americane, largamente pubblicizzate nei film western, in cui gli anziani malati venivano abbandonati per le strade deserte mulattiere.

Con l’etica siamo rimasti alle tribù? In un certo senso è proprio così. Dimenticare i vecchi, i nostri genitori, quelli che hanno costruito la storia familiare e nazionale, coloro che possono regalare saggezza ai giovani, un pezzo della cultura, costituisce un’offesa alla morale e alla sopravvivenza.

Probabilmente abbiamo costruito un mondo sadico, imperniato sull’egoismo e sulla bramosia del denaro, una società senza valori. In questo siamo colpevoli in tanti, dagli educatori ai politici. Ricordo un film molto istruttivo “L’ora legale”, che si presenta sotto le sembianze di una trama comica, interpretata da Ficarra e Picone, ma che riflette in toto la mentalità del cinismo spietato. 

In un paese della Sicilia, imperversa la corruzione e il malaffare: sindaco e giunta comunale risultano inquisiti. I cittadini sono disgustati e alle elezioni votano un uomo onesto, un professore del liceo. Una volta eletto questi esige il rispetto delle regole comunali. Chi invoca la legalità purtroppo lo fa sempre riferendosi agli altri, mai a sé stesso. Dopo qualche giorno di entusiasmo, i cittadini che invocavano il rispetto delle regole ripensano alla gestione comunale, evocando con piacere il malcostume in cui sguazzavano, traendone il proprio piccolo o grande tornaconto. Il sindaco onesto, stremato dalle contestazioni, si dimette; si torna a nuove elezioni. Si restaura il vecchio regime col precedente sindaco: in questo maldestro passaggio la moralità cede il posto alla corruzione sfrenata.

La ragione che lascia la bocca amara riguarda il giuramento di Ippocrate, cui fanno riferimento tutti i medici. Questo giuramento diventa la stella polare che dovrebbe indirizzare l’attività di questi professionisti. A titolo di esempio si riporta l’ultima versione del 13 giugno 2014, che recita: consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:

  • di esercitare la medicina in autonomia di giudizio e responsabilità di comportamento contrastando ogni indebito condizionamento che limiti la libertà e l’indipendenza della professione;
  • di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona con cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto;
  • di attenermi ai principi morali di umanità e solidarietà nonché a quelli civili di rispetto dell’autonomia della persona;
  • ecc.

È improbabile che il Giuramento di Ippocrate (460-377 a.C.) abbia fornito uno standard di regole morali per i medici dell’antichità; pare abbia raggiunto lo status in epoca cristiana. Più dell’etica deontologica del giuramento, nell’antichità era fortemente presente l’etica teleologica delle virtù di origine platonica. Per i secoli successivi all’epoca cristiana, durante il Medioevo ed il Rinascimento, le regole che disciplinano il rapporto guaritore-malato si sono invece basate sul Giuramento, che circolava in una varietà di traduzioni.

Con l’introduzione del concetto di “cura medica”, dovuta alla rivoluzione antropologica cristiana nata dalla “Parabola del Buon Samaritano”, di Gesù Cristo, il concetto di terapia medica, di origine greca, si completa. L’obiettivo primario è la cura che si serve di strumenti terapeutici, con il significato che la cura della persona sofferente dura sino alla morte naturale. Di qui sarebbe nato il ruolo “infermieristico” (la cura dell’infermo) che all’origine non si differenziava dal ruolo medico.

Si evince che all’origine l’opera del medico non presenta storture. Queste sono arrivate col tempo nella gestione di tali figure, inserite in un processo di organizzazione dei servizi. Se il medico non cura a sufficienza, ciò è dovuto al fatto che nella struttura ospedaliera sono previsti tanti ammalati, da superare un’entità da poter seguire, oppure che la struttura medesima rifiuti di ricoverare cittadini con patologie bisognosi di terapie urgenti e complesse. Per questo si ritiene che un popolo non sufficientemente organizzato nella sanità, metta a repentaglio la visuale di civiltà.

Stanno pesantemente cambiando le regole etiche, rinnegando la tradizione antropologica. Le disabilità fisiche e sociali possono essere paragonate alla condizione degli anziani, i quali sono da curare alla stregua dei disabili e dei bambini, poiché sono più irritabili, rimangono sulla difensiva e vivono nell’amarezza. Diventa più facile lavare il corpo di bambino affetto dalla sindrome di Down che non lavare il corpo di un genitore inabile e incontinente, il quale detesta trovarsi in una simile condizione, soprattutto se quanto il padre quanto il figlio conservano il ricordo degli anni in cui il genitore era autosufficiente.

Lo spirito liberale imperante nell’occidente e l’efficientismo selvaggio basato sul profitto non rendono la vita facile, nel senso che le istituzioni statali dimenticando di interessarsi delle persone deboli, le quali non possono essere lasciate alla mercè dei figli, i quali non hanno le attrezzature e le capacità di assistenza.


[1] L’epistème per Platone rappresenta la forma più certa di conoscenza, che assicura un sapere vero e universale. Questo può essere ottenuto in due modi: tramite ragionamento o intuizione, che sono a ogni modo complementari tra loro, e delle quali però la seconda è superiore alla prima. Come in Platone, anche per Aristotele rappresenta la forma di conoscenza più certa e più vera, contrapposta all’opinione. Nella filosofia contemporanea, il termine comprende l’insieme delle conoscenze positive e delle teorie scientifiche che caratterizzano una data epoca, con una sfumatura relativa ai loro comuni presupposti; è usato anche, con riferimento a una determinata disciplina, a un movimento di pensiero, a un autore di particolare importanza, per indicarne le tesi fondamentali o proposte interpretative, dalle quali derivano sia suggerimenti per altri campi della ricerca sia sollecitazioni ideologiche e filosofiche: in tal senso, dal rinvenimento delle epistemi trae origine la considerazione interdisciplinare del sapere.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.