Anatomia della solitudine. Il focus di Giuseppe Rocco

Oggi il rifugio solitario non può che essere una scelta, tenendo conto dei sette miliardi di unità che gremiscono il globo terrestre. La solitudine va esaminata sotto il profilo morale, nel senso di non poter contare sulla solidarietà dei propri simili; quindi decidere da solo, soffrire senza un minimo conforto, vegetare senza il dialogo necessario e imperioso.

La carenza degli affetti, dei sentimenti e dei rapporti primari e la continua e fredda affermazione di contatti secondari, basati soltanto sull’interesse materiale, contraddistinguono questo torpore di infelicità.

Nella solitudine gioca un ruolo determinante la nuova tipologia dei rapporti, improntati sempre più a relazioni strumentali, scaturite dal lavoro, dall’associazionismo, dal partito, da interessi economici. Il processo sociale, sotto la spinta economica del profitto e degli agi, ha ridimensionato tutta la componente di affetto e di amicizia, imperniata sugli aspetti espressivi e sul trasporto primario dei sentimenti. L’amicizia appare la variabile cruciale per lo sviluppo sia morale che cognitivo di bambini. Jean Piaget aveva intuito che i rapporti con gli amichetti e con l’educazione degli adulti favoriscono lo sviluppo del senso morale e la comprensione dei processi e degli esiti della condotta menzognera.

Il denaro, capo degli Dei moderni, ha offuscato il rapporto sentimentale privilegiando il rapporto strumentale. Questa spinta egoistica è divenuta una forzatura per la mente, che potrebbe reagire con un sentimento di solitudine.

Emerge una condizione di incomunicabilità, improntata al principio della massima neutralità affettiva, pur se rimane qualche traccia di aspirazione ad evadere dalla misera e squallida realtà di ognuno per rifugiarsi nel clima mistico del Creato, avvolto nella soave magia della nostalgia e della speranza.

L’autarchia è divenuta il veicolo della solitudine. L’onnipotenza che non ha altri riferimenti al di fuori di se stessi. Non a caso si verifica un’associazione fra la crisi dei legami e l’incremento delle patologie psichiche. Affiorano sempre più egoismo, indifferenza, invidia, aggressività: tutti epifenomeni scaturenti dalla mancanza di associazionismo personale e culturale. Un esempio vale per l’insoddisfazione nei giorni festivi, che acuiscono il fenomeno della solitudine.  Per esteso i bambini giocano meno perché escono meno, complice il rischio delle auto e della delinquenza consolidata. [1] Meno calcetto per strada e più tempo in palestra. Purtroppo esiste una differenza solenne, il calcetto solidifica l’amicizia fra bambini e distrae; la palestra annoia e trasmette l’ambiente arido e distratto.

La vita è divenuta, sotto gli stimoli del progresso tecnologico, notevolmente più rapida, frammentaria e insicura: tutto viene realizzato  in fretta e male; la quantità va a scapito della bontà del prodotto (si pensi alle costruzioni urbanistiche e alle decorazioni delle chiese di una volta!); l’impegno spontaneo cede il posto alla corsa dei pulsanti, delle automobili, dei cellulari e dei computer. Non si ha tempo e voglia di preparare cibi elaborati e si ripiega su cibarie e bevande confezionate in serie, profumate con sostanze chimiche, deliziose al palato ma non sempre esenti di sostanze nocive alla salute. Sorgono polemiche sui coloranti dei prodotti medicinali, sulle sostanze conservanti dei generi alimentari, sulle sofisticazioni degli ingredienti. Il cittadino dapprima rimane confuso e attonito, poi accetta la situazione con acquiescenza e rassegnazione.

La giornata è costellata di rapporti umani sempre legati all’interesse; si corre lottando contro il tempo, si consulta ripetutamente l’orologio, si assolvono gli obblighi sul piano formale e si giunge a sera spesso per adagiarsi in poltrona ad assistere allo spettacolo che inesorabilmente ci somministra un apparecchio strano, una scatola che vede tutto il mondo e si chiama televisione. Questo oggetto potente penetra nelle nostre case e completa quell’inquinante odissea quotidiana, propinandoci messaggi prefabbricati. Con la televisione si assiste ad una disciplinata acquiescenza del cittadino, mentre la coesione familiare si deprime.     

La partecipazione passiva determina un impoverimento delle comunicazioni concrete. Senza voler disconoscere del tutto l’opera proficua di questo mezzo di comunicazione, esso prefigura un colloquio fra un logorroico e un muto; il corpo e la mente soggiacciono ad una passività soggettiva, in balia dei trasporti confezionati e degli stimoli penetranti del video.

L’intensificarsi dell’agitazione nevrotica genera la tendenza progressiva ad una minore reattività verso gli stimoli: una minore sensibilità affettiva verso l’ambiente che ci circonda e ci spinge ad una maggiore automaticità nell’agire.

Un sincero bilancio quotidiano evidenzia uno stillicidio di ansie accumulate, che producono quel recente malessere etichettato col nome di stress. E’ davvero strano che l’uomo riesca a trovarsi in condizione di stress in un’epoca in cui il tempo libero è aumentato notevolmente e sul cui uso la propaganda non conosce freni.

Lo strato malinconico diventa un rito caustico del nostro cervello, di un vuoto mentale che porta l’uomo allo sconforto e alla malinconia.  Questa ultima si contraddistingue come nube passeggera, un fragile velo di nebbia che offusca per un attimo il sole e che può condurre all’amarezza compatta e greve.

Le diverse voci che si elevano sulla malinconia sono un sintomo inconfondibile del misterioso fascino che circonda questo fondamentale stato emotivo psicologico. Tristezza e temperamento malinconico hanno conosciuto nel corso della storia interpretazioni variegate. La sacra scrittura racconta la depressione di Saul, alleviata dalla musica di Davide; Aristotele scopre una certa connessione tra temperamento malinconico e genialità artistica e scientifica; nel Medioevo e nel periodo della Controriforma prevale un’interpretazione negativa; Santa Teresa vede nella malinconia uno strumento del demonio; nel Rinascimento ed nell’età moderna affiora un connubio fra malinconia e personalità artistica.

Malinconia ed arte spesso vengono coinvolte, con un rapporto di tipo circolare: la malinconia è fonte di creatività artistica elevata e l’arte si rivolge  alla malinconia svolgendo una funzione terapeutica. La malinconia è un concetto denso di affaticamento e di mistero, che inerisce ad uno stato d’animo acuto ma passeggero. Nella malinconia il corpo ha una sensibilità acuta anche per i più sottili barlumi di emozione che ci attraversano la mente di continuo. Spesso arriva a scoprir i nostri pensieri quasi prima che noi stessi li registriamo a livello conscio e di frequente vi reagisce come se fossero solidi e reali, a prescindere dalla fedeltà con cui rispecchiano o meno il mondo. Ma non solo reagisce a ciò che pensa la mente: il corpo tende anche a rimandare al cervello informazioni di carattere emozionale che possono finire per intensificare paure, preoccupazioni e sentimenti generali ed indiscriminati di angoscia e di infelicità. Questa retroazione è una danza potentissima e di fenomenale complessità che solo oggi cominciamo a comprendere.

Una sensazione molto comune è quella di sconfinare nella depressione o nella cosiddetta malinconia. Si tratta di uno sconforto che l’individuo riesce a gestire con le proprie risorse. Gioca in questi casi un ruolo importante la distrazione, che tende a impegnare il cervello e ripristinare la normalità.

Viviamo in un’epoca di malinconia e di ansia: la moderna epidemia di depressione si sta diffondendo in tutto il mondo a causa dell’adozione di stili di vita moderni sofisticati, in cui è caduta l’amicizia originale, vera ed autentica per far posto all’amicizia secondaria basata sugli interessi. Con la diffusione dell’industrializzazione, il lavoratore è stato distratto dalla famiglia ed ha lasciato il figlio in balia di internet e della televisione. L’isolamento sociale crea problemi alla sopravvivenza naturale del giovane.

In uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità nell’ottobre del 2016, si evince che la depressione colpisce tutte le età e tutte le razze. Essa provoca angoscia mentale e impatta sulle capacità delle persone di svolgere anche le più semplici attività quotidiane. Il disturbo tende ad aumentare negli ultimi anni, proprio per la caduta di carica nei rapporti sociali, sempre più improntati a rapporti secondari e affaristici. L’aspetto curioso dello studio è che la malattia alligna principalmente nei poveri, anche per le scarse possibilità economiche di curarsi.

Il dolore e la solitudine presentano confini deboli e fragili; un processo osmotico sembra unirli attraverso il quale le emozioni trasmigrano apportando risonanze affettive in grado di alterare l’equilibrio psichico. Il sentimento della solitudine appare come una pesante pietra capace di annientare gli istinti umani volti all’iniziativa e alla creatività, nel senso di irretire la volontà. Il vuoto non è riferibile alla situazione oggettiva di privazione sociale e quindi un individuo può vivere una situazione di negatività pur essendo circondato da affetti. Per evitare questi momenti di angoscia, l’individuo deve trovare uno spiraglio di sopravvivenza, in particolare frequentando club, ritrovi o ancor meglio impegnandosi in attività ludiche.

L’esistenza subisce trasformazioni. L’uomo è inscatolato, incapsulato, standardizzato. Perde le amicizie spontanee, travolto dalla vorticosità dei fenomeni sociali, ormai al di sopra del singolo impossibilitato a reagire. L’individuo avverte uno stato di disagio non solo nelle amicizie, ma addirittura in casa, ove il colloquio è ridimensionato. La posizione in famiglia si attesta su un altro status vivendi: la donna lavora fuori dal nucleo familiare e partecipa ad attività proprie. Di sera, quando il nucleo è raccolto, i risultati di questa unione vengono vanificati dalla televisione, che primeggia e impone il silenzio ai presenti.

Un mezzo per combattere la solitudine, per evitare di essere intrappolato nella gora della noia e per stimolare il cervello all’impegno, è costituito dalla rivalutazione e dal potenziamento di club e circoli, non intesi come entità corporative ma come associazioni di stampo culturale, ricreativo, hobbistico. L’attività sociale (partito, associazione, circolo, club) svolge il ruolo importante di espressione individuale e assume rilievo quale punto di convergenza fra la realizzazione professionale e l’istinto socializzante, quasi a suggellare un momento di mediazione fra l’unità e il gruppo.

Il rimedio per eccellenza può essere la Fede, che non può essere soltanto una scelta. Infatti la Fede è un misto tra richiamo divino e scelta. Diciamo di avere scienza di qualcosa quando ne riconosciamo immediatamente la ragione o sappiamo ricondurlo alle sue cause. Gli enunciati di fede non soggiacciono a tale verifica, eppure godono di una certezza ferma, tanto da essere all’origine di una vera e propria conoscenza che si pretende altresì scientifica.


[1] Secondo la psicologia, il gioco è una variabile collocata con l’amore. Più si gioca e più si ama.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.