Certificazioni di Origine surrogatorie. Il focus di Giuseppe Rocco

L’adozione del codice doganale comunitario ha modificato, consolidato e semplificato la normativa doganale ed ha permesso di riunirla in un unico atto giuridico (Reg. CE 952/2013 entrato in vigore l’1.5.1016). Oltre al certificato di origine, tipico della Camera di commercio, che ha natura generale, sono previsti altri documenti specifici per dimostrare l’origine in base ad accordi particolari:

  1. All’interno dell’Unione europea l’origine viene dichiarata direttamente dall’operatore economico con l’indicazione in fattura oppure con una dichiarazione a parte su carta intestata della ditta; in alcuni casi, ossia quando la merce venga successivamente dirottata dal cessionario comunitario, viene utilizzato un modello comunitario, denominato “dichiarazione del fornitore”, che può assumere anche l’impegno a lungo termine (al massimo due anni) delle forniture dello stesso bene; se effettuata con effetto retroattivi la validità cala ad un anno.
  2. Nei Paesi con i quali vigono accordi bilaterali preferenziali, è stato adottato il certificato di circolazione (EUR 1), che viene emesso nello Stato esportatore e consente all’importatore di usufruire del beneficio totale o parziale del dazio. Esso viene rilasciato dalla dogana all’esportatore oppure si consente la dichiarazione di origine preferenziale su fattura, se l’importo è inferiore a 6.000 euro. Rientrano in tali Paesi quasi tutti i popoli europei e bacino mediterraneo, per ovvie ragioni di vicinanza geografica.

c.      Un certificato di origine particolare è previsto con i Paesi a preferenze tariffarie generalizzate. A questi Paesi in via di sviluppo, l’Unione accorda il beneficio del dazio in modo unilaterale per favorire lo sviluppo dell’interscambio. Pertanto le merci per usufruire dell’agevolazione daziaria devono essere accompagnate dal modello Form A. Viene riconosciuta la dichiarazione in fattura se l’importo è inferiore a 6,000 euro.  Le preferenze sono tariffarie e generalizzate:

  • preferenze senza contropartita, unilaterali, non reciproche;
  • tariffarie in quanto esentano in tutto o in parte le tariffe doganali;
  • generalizzate poiché dirette a tutti i Paesi in via di sviluppo.

d.      Documenti surrogatori, quali:

  • dichiarazione su fattura, che si sta affermando nell’ottica dello snellimento delle operazioni doganali;
  • certificati sanitari, polizze di carico, ecc. anche se tendenti a raggiungere obiettivi finalizzati riescono a dimostrare l’origine della merce;
  • autocertificazione dell’imprenditore su carta intestata.

La differenza tra certificato di origine ed altri documenti si può riassumere così:

  • il certificato di origine attesta ufficialmente l’origine della merce ed ha carattere generale;
  • gli altri documenti di origine attestano la corrispondenza alla particolare nozione di origine stabilita in via bilaterale o decisa per finalità specifiche.

Interessante ricordare nel contesto, la proprietà industriale e in particolare il marchio di impresa, che è un segno distintivo attinente all’attività dell’impresa e che viene apposto sul prodotto e sulle merci, allo scopo di identificare la provenienza. Sono segni distintivi: le parole (compresi i nomi delle persone), i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche.

I marchi durano dieci anni e sono rinnovabili per un eguale periodo. I requisiti sono tre: novità, capacità distintiva e liceità. Viene riconosciuto il principio della libera cessione, anche per rispondere ad esigenze di carattere internazionale. È prevista pure la licenza.

L’importanza del marchio è comprensibile. In particolare diventa un segno di riconoscimento: senza marchi i prodotti sarebbero anonimi e i consumatori dovrebbero procedere agli acquisti in modo casuale. La parola che costituisce il marchio viene percepita dal consumatore come un messaggio, che può essere di garanzia, di sicurezza, di qualità merceologica, di affidabilità sanitaria. In altre parole il marchio tende a rappresentare un idoneo elemento di pubblicità del prodotto.

In questo campo vige pure una normativa comunitaria, che consente l’acquisizione di un titolo unitario a tutela dei marchi di impresa, con effetti in tutti i Paesi dell’Unione europea. Nel tal caso la domanda di deposito va presentata presso l’Ufficio di armonizzazione del mercato interno (UAMI) con sede ad Alicante (Spagna), ovvero presso l’ufficio centrale della proprietà industriale.

Inoltre sono state firmate due Intese a Madrid, per permettere il deposito di una domanda al fine di ottenere una registrazione internazionale, presso l’OMPI che ha sede a Ginevra.

Dopo la Convenzione di Madrid nel lontano 1891, è stato firmato il protocollo di Madrid (in vigore dal 17 aprile 2000), che ha apportato diverse modifiche ed ha coinvolti numerosi Stati, prima assenti. In particolare si introduce la possibilità di depositare ed ottenere la registrazione del marchio internazionale soltanto sulla base di una domanda di registrazione del marchio nazionale e non più esclusivamente sulla base della concessione della registrazione dello stesso.

Purtroppo si assiste a fenomeni che rendono incerta e complicata la pubblicità sul prodotto, soprattutto in relazione alle produzioni effettuate all’estero con l’utilizzo dell’istituto del perfezionamento passivo. In via generale le merci prodotte in paesi stranieri assumono l’origine dei paesi stessi e quindi non presentabili con etichette “made in Italy”.

Nel carosello di strategie per accrescere il profitto, si inserisce una nota inquietante per la libera commercializzazione, relativa alla contraffazione dei prodotti, fenomeno che altera gli scambi internazionali.

A parte il sostegno del sistema informatico, la Dogana effettua una verifica sulla dichiarazione per le merci che giungono dall’estero. In questo momento scattano i criteri e le percezioni del funzionario per decidere se procedere o mano ad indagini più dettagliate. Queste accortezze sono divenute essenziali anche per fronteggiare l’invasione asiatica, che può pregiudicare la tenuta dell’economia industriale europea e soprattutto quella italiana all’avanguardia nei disegni, modelli industriali e marchi di impresa.

Va peraltro rammentato che l’indicazione del “made in…” in Italia non è obbligatoria, ma potrebbe essere conveniente per neutralizzare eventuali false insegne del tipo CE, che vuol significare “China Export” ma che potrebbe essere equivocata per marcatura CE. Per queste ragioni, la tutela del made in… non può prescindere dalla tutela della proprietà industriale.

Infine un richiamo alle indicazioni geografiche, relative ai prodotti alimentari. L’uso ingannevole di una indicazione geografica o di una denominazione di origine può essere sanzionato con tutte le misure cautelari e definitive applicabili per ogni altra ipotesi di violazione di un diritto di proprietà industriale. Rispetto agli altri settori di sicurezza prodotti (marchi, metrologia legale, ecc.), il riconoscimento delle indicazioni geografiche è un fenomeno nuovo nell’universo dei diritti commerciali.

Per offrire una correlazione, mentre i marchi d’impresa costituiscono un riferimento alle origini commerciali dei beni, le indicazioni geografiche rappresentano l’origine geografica delle merci. Sotto certi aspetti, la protezione di queste ultime denota una certa debolezza, in quanto non conferiscono un diritto positivo, ma soltanto la possibilità di agire contro un uso sleale.

La denominazione di origine garantisce, assieme alla certezza di una zona territoriale, anche una specifica qualità del prodotto, in forza del collegamento intrinseco alle condizioni naturali del posto di origine, quali il terreno, il clima e la vegetazione. Proprio partendo da questo presupposto è sorto l’Accordo di Lisbona per la protezione e la registrazione internazionale delle denominazioni di origine.[1]

L’argomento era stato peraltro introdotto da due remote Convenzioni internazionali: la Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale[2], che si riferisce alla false indicazioni, e l’Accordo di Madrid relativo alle indicazioni di provenienza false o fallaci[3], che introduce anche le indicazioni ingannevoli.

Soltanto con l’Accordo di Lisbona si perfeziona la protezione dell’indicazione geografica. Questo evento segna una svolta importante: nessuna merce viene esclusa dalla protezione a causa del fatto che possa essere considerata generica; inoltre individua nel sistema di collaborazione lo Stato da cui l’indicazione ha avuto origine per attivare i disciplinari favorevoli all’azione giudiziaria.

Per potersi avvalere di una denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta, occorre ottenere una registrazione comunitaria.

Per evitare di vanificare le specialità, la denominazione di origine sta assumendo una qualificata importanza proprio per segnalare prodotti pregiati. L’Italia ha il vanto di godere soprattutto di un prestigio gastronomico; val la pena citare gli oli, i formaggi, i vini, ecc. Tuttavia anche in altri campi le organizzazioni specifiche si stanno attrezzando, come nel comparto della piastrella

Inoltre le indicazioni non sempre esprimono l’origine. È il caso dell’insalata russa, che non identifica un alimento di origine russa ma utilizza solo la denominazione di vendita assimilata nella terminologia commerciale; alla stessa stregua i cavoli di Bruxelles non devono provenire necessariamente da Bruxelles ma possono essere coltivati dappertutto.


[1] Firmato a Lisbona il 31 ottobre 1958, recepito in Italia con legge n. 676 del 4 luglio 1967, pubblicato in GU n. 202 del 12 agosto 1967. Le norme di applicazione sono contenute nel Dpr n. 655 del 26 febbraio 1968 e pubblicate in GU n. 133 del 27 maggio 1968.

[2] Firmata a Parigi il 20 marzo 1883, più volte riceduta; recepita in Italia con legge n. 424 del 28 aprile 1976 e pubblicata in GU n. 160 del 19 giugno 1976.

[3] Firmato a Madrid il 14 aprile 1891, più volte riceduto; recepito in Italia con legge n. 676 del 4 luglio 1\967 e pubblicato in Gu n. 202 del 12 agosto 1967.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.