Efficientismo selvaggio, male del secolo. Il focus di Giuseppe Rocco

L’efficienza riguarda la competenza e la prontezza nell’assolvere le proprie mansioni; in particolare in economia si tende a rendere in modo ottimale la capacità di azione o di produzione con il massimo risultato e con il minimo di spesa, di risorse e di tempo impiegati. L’efficientismo, fenomeno molto diffuso nell’era moderna, ricerca l’efficienza a tutti i costi, anche sganciata da esigenze concrete e senza verifiche umane e sociali. Peraltro secondo una concezione filosofica, tutte le parole che terminano con “ismo” evocano una deformazione del contenuto in modo vago ed elastico; infatti efficientismo conduce a una degenerazione del fenomeno conosciuto come efficienza, in cui gioca in aggiunta una sofisticazione elaborata e contorta[1].

Con l’occasione pare necessario puntualizzare anche, la differenza fra i termini di efficacia ed efficienza, spesso usati indistintamente come sinonimi, i quali riflettono in realtà due concetti ben distinti. L’efficacia indica la capacità di raggiungere l’obiettivo prefissato, mentre l’efficienza valuta l’abilità di farlo impiegando le risorse minime indispensabili. Efficacia ed efficienza sono concetti molto importanti nel mondo del lavoro e in generale nella pianificazione e nel controllo di qualsiasi attività. Se due atleti si prefiggono di correre i 100 metri in meno di dieci secondi e riescono nel loro intento, sono entrambi efficaci; tra i due risulterà più efficiente quello che avrà raggiunto l’obiettivo con il minimo dispendio di risorse (tempo dedicato all’allenamento e costi per materiale tecnico, allenatore, nutrizionista, integratori ecc.). In modo più semplice e banale, se la massaia riesce a spendere poco durante la spesa giornaliera, diventa efficiente ma non è detto che sia efficace in quanto il minor costo rispetto al mercato, potrebbe anche indicare una scarsa qualità dei prodotti comprati. Per dirla in modo super sintetico, l’efficacia inerisce alla qualità e l’efficienza alla velocità.

Formulati i concetti basilari, estendiamo l’argomento all’evoluzione dell’organizzazione in Italia, per verificare poi l’andamento culturale emerso alla luce della globalizzazione.

Nella volontà di ottenere una macchina organizzativa in linea coi tempi, il ruolo dello Stato e degli enti pubblici è cambiato. Nell’ottocento e nella prima parte del Novecento, quando l’Amministrazione si era formata, lo Stato veniva identificato come Stato guardiano o Stato regolatore. Il suo compito consisteva nel mantenere l’ordine pubblico. Lo Stato moderno, detto funzionale, oltre a mantenere l’ordine pubblico, offre anche servizi e gestisce infrastrutture.

Il testo unico del 1934 ha regolato la vita dei nostri enti locali sino alla legge 142 del 1990. Essa considerava come spese facoltative quelle relative all’illuminazione, alle fognature e l’acqua potabile; ora l’ente locale ha una veste di erogatore di servizi. Nel settore sanitario, la salute viene ritenuta un interesse collettivo e la medicina punta su un carattere preventivo, predisponendo interventi a tappeto che soltanto la pubblica autorità può realizzare. Viene fornita assistenza ai deboli e agli handicappati, in un quadro di riferimento composito. In tema di economia, l’ente locale regola il buon funzionamento di strade e di trasporti, applicando una politica di programmazione: le licenze commerciali non sono rilasciate solo in funzione di ordine pubblico ma anche per osservare piani commerciali.

Le nuove attività esercitate dallo Stato funzionale richiedono un impegno più vicino ai cittadini e una sofisticazione organizzativa maggiore rispetto alle precedenti strutture. Oltre al rispetto della legalità degli atti, s’intravvedono esigenze di efficienza ed efficacia. Questi due obiettivi richiedono tempestività di decisione, in un corollario avvinto nella ragnatela burocratica. Prima si sosteneva il concetto dell’azione amministrativa, in base alla quale prevaleva la garanzia dell’ordine pubblico, in modo unilaterale; oggi vale l’azione pubblica, quando si realizza l’interesse generale, attraverso la fornitura di merci e di servizi, coinvolgendo almeno in parte il cittadino; l’ente pubblico è considerato non sovraordinato all’attore ma a sua disposizione. Per l’attuazione del recente modello di Stato, viene richiesta una cultura nuova di management pubblico, in grado di aderire allo spirito del nuovo corso e capace di esaltare la comunicazione.

In Italia storicamente il processo parte dagli anni sessanta per opera di Massimo Severo Giannini e poi di Sabino Cassese. Qualcuno tenta di opporsi: i feudatari, ossia i dirigenti di grado elevato, in quanto la trasparenza e la condivisione delle informazioni significano perdita di potere nel senso tradizionale.

L’e-government cambia il modo di operare con la legge 241/90, che detta trasparenza, proprio perché lo strumento dell’e-government è divenuta l’informatica. La Pubblica amministrazione è stata concepita per troppo tempo a guisa di una piramide, che aveva al vertice il governo, ai gradini intermedi l’apparato burocratico e alla base il cittadino, nella migliore delle ipotesi destinatario passivo dei servizi, nella peggiore dei casi vittima di una volontà imperscrutabile e insindacabile. Con la 241/90 alla piramide si sostituisce la Rete, ove tutti si trovano sullo steso piano: il cittadino col suo computer o dall’altro lato dello sportello pubblico polivalente, il funzionario che cura un procedimento e ha bisogno dei dati in possesso dei colleghi di altre amministrazioni.

Lo sviluppo dell’architettura organizzativa coinvolge ovviamente il privato, che non ha bisogno di emanazioni legislative, ma segue di pari passo l’evoluzione del mercato del lavoro. Si afferma nel secondo dopoguerra il concetto che l’azienda viene considerata un sistema socio-tecnico, costituito da persone (risorse umane) e tecnologie (mezzi strumentali sempre più aggiornati). L’azienda definisce le priorità e gli obiettivi in una dimensione allargata, in cui concorrono diverse forze: soci, consiglio di amministrazione, lavoratori rappresentati dai sindacati, i quali sono divenuti un elemento importante nella trattativa. Nella traiettoria d’impostazione e dell’architettura societaria, opera la divisione del lavoro che si scompone in processi aziendali, delimitati dalle attività e dai compiti finalizzati al successo.

Va comunque precisato che la cultura aziendale non vive in un mondo isolato, ma si colloca in un contesto che tocca la vita sociale. Infatti nel secondo dopo guerra l’andamento era vissuto a livello compatibile, compreso il lato umano. I cittadini e soprattutto i giovani  avevano un punto di riferimento in piazza, sotto il campanile della Chiesa per sfoggiare il loro ardore: incontrarsi, giocare, parlare di calcio, assumere le notizie dai coetanei per plasmare il carattere. Oggi la situazione è diventata più opaca, meno visibile, astratta e impersonale. Al posto della piazza è subentrata la Rete, il vero totem che attrae il cittadino. Con la Rete si riesce a colloquiare con tanti amici anche lontani, si riesce a vivere una realtà variopinta misteriosa gradevole ma impersonale. Manca il contatto diretto, il potersi guardare negli occhi, ascoltare il tono della voce, in poche parole vivere condizioni strumentali, lontane dai contatti espressivi che sono quelli che offrono tono e slancio alla nostra umanità. In verità l’adozione del Web è stata relativamente lenta. Nella fine del secolo scorso la cultura generale era accettabile: una Pubblica amministrazione a misura d’uomo, l’azienda privata evoluta ma non sofisticata, i rapporti umani condivisi in un’atmosfera di magia giovanile. Le cose cambiano nel terzo millennio[2].

A latere del discorso va rammentato l’avvento delle disuguaglianze eccessive in campo socioeconomico. Con il 2000 tramonta il secolo del lavoro certo, avviando un processo di frammentazione delle classi sociali, con la contrapposizione fra lavoratori garantiti e lavoratori precari. Emergono distinzioni sociali inedite; scompare la vecchia divisione del lavoro tra operaio e impiegato; si afferma l’esercizio di funzionari digitali; crescono gli immigrati in cerca di lavoro d’ingresso; si registra l’aumento dei lavori a bassa remunerazione. La disuguaglianza in Italia ha origine dall’elevato livello di disoccupazione.

Il passaggio dalla società del lavoro alla società del rischio sta diventando una realtà con cui misurarsi nei prossimi anni. L’aumento dell’instabilità lavorativa sta modificando progressivamente la composizione sociale della popolazione vulnerabile. Il passaggio dalla dimensione della sicurezza salariale a quella dell’instabilità e della crescita pone un numero crescente di famiglie di fronte ad un cambiamento radicale di prospettive. Il Job Acts ha preso atto di una situazione internazionale di volatilità ma ha anche incresciosamente favorito il drammatico problema del lavoro, il quale resta sempre la fonte di guadagno e il simbolo della dignità personale.

L’arido efficientismo ricorda l’organizzazione del lavoro, nota come “Taylorismo e Fordismo”, le cui modalità tentavano di aumentare la produttività. Nell’ Ottocento gli operai “di mestiere” godevano ancora di una forte autonomia: per esempio, era diffuso il lavoro a cottimo e le operazioni del singolo operaio erano ancora molto differenziate.

Per annullare ogni forma di interruzione nell’operatività e vietare piccoli spazi di relax, il capitalista doveva imporsi grazie alle nuove teorie dell’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor e Ford.

Teoria economica dell’organizzazione scientifica del lavoro, elaborata all’inizio del Novecento dall’ingegnere statunitense Frederick W. Taylor (1856-1915), che la applicò nell’industria metallurgica Bethlehem Steel Co. E la illustrò in alcuni importanti scritti. Essa si fondava sul principio che la migliore produzione si determina quando ad ogni lavoratore è affidato un compito specifico, da svolgere in un determinato tempo e in un determinato modo. Qualsiasi operazione del ciclo industriale può dunque essere scomposta e studiata nei minimi particolari da parte dei manager, i quali sulla base delle verifiche empiriche devono stabilire i criteri.

In tal modo cambia la figura del dipendente: il taylorismo toglie ogni tipo di discrezionalità e l’efficientismo selvaggio diventa protagonista incontrastato. Con l’introduzione delle procedure efficientiste si è costretti ad adattarsi ai ritmi infernali scelti dai dirigenti. Proprio per questo il taylorismo è stato duramente contestato dai movimenti dei lavoratori e dai sindacati, cosa che non accade purtroppo ai nostri tempi, in cui il sindacato tende a sonnecchiare.

A completamento del discorso, si aggiunge l’altra relativa forma di produzione, denominata “fordismo che indica una peculiare forma di produzione basata principalmente sull’utilizzo della tecnologia della catena di montaggio, al fine di incrementare la produttività. Sembra di leggere una pagina del diario di ogni lavoratore contemporaneo.

Le teorie di Taylor vengono accolte molto favorevolmente dagli imprenditori dell’epoca e in particolare da Ford, che fu il primo che nel 1913 ha introdotto la catena di montaggio nelle proprie officine di Ditroit. Con il fordismo, si applicano concretamente le teorie di Taylor nel processo produttivo.

Più accettabile il modello giapponese, copiato in parte dalle imprese inglesi, quale risposta al fordismo. Alla fine degli anni ’40 la Tojota aveva problemi economici: per far fronte alla delicata situazione abbandona la produzione di scala “fordista” e introduce nell’azienda una procedura di breve serie, ponendo attenzione ad ogni minimo movimento del mercato e sforzandosi ad adeguarsi ad esso. Non esistono scorte e si produce quello che serve per eliminare gli sprechi.

Credo che il senso della storia e l’affermazione della civiltà debbano armonizzare le necessità di profitto e la dignità del lavoratore. Le opportunità non mancano per conciliare queste due tendenze ed offrire all’operatore, in qualsiasi grado o funzione, di realizzarsi sul lavoro e nel contempo adoperarsi per un idoneo rendimento.

La macchina organizzativa apprende sempre nuove metodologie sofisticate, con un’ingegneria fantastica: nella parcellizzazione del lavoro, ogni elemento svolge il proprio ruolo di frammento dell’intero processo organizzativo. Il singolo resta spersonalizzato fuori dalle tecniche del prodotto o del servizio, in quanto deve soltanto assolvere procedure ben delineate e avallate dal processo computeristico. Si ripete la simmetria dei ruoli che contraddistinguono l’idea marxista dell’alienazione. Tutta la meccanica riduce i tempi del percorso produttivo e regala risultati incredibilmente superiori dal punto di vista quantitativo. La qualità ne risente poiché in un sistema polivalente, massiccio e automatico basta un nonnulla per inficiare la buona riuscita del bene o del servizio, ne consegue che l’operatore viene sottoposto a una lacerazione continua della tensione emotiva, esposta a uno stillicidio di premure.

I danni sono evidenti: riducono la manodopera e creano problemi occupazionali; per i lavoratori si profila lo spettro della sfida quotidiana di operosità testata da tempi programmati; per i clienti a tutti i livelli, l’ombra del rapporto incolore e distaccato. Il clima è completamente cambiato, avendo acquisito il modello americano iper liberale, in cui prevale il bello, il forte, il ricco; situazione nuova che crea tante disparità nelle quali molti cittadini tendono a perdere il mordente e la spinta per combattere in un mondo divenuto sempre più concorrenziale. Indubbiamente la concorrenza fra colleghi è sempre esistita in termini naturali; ora diviene uno strumento di lavoro ingeneroso e matrice di sensazioni tumultuose che erodono il fisico.

Queste nuove regole sociali, che investono l’economia, comportano lo sfruttamento del personale e l’allungamento dei tempi di erogazione. Alla Posta si fa la coda, in banca si attende molto tempo, con i gestori telefonici la coda si realizza a telefono in modo logorante. Tutto sintetizzato, sofisticato, ridotto. In tal modo gli operatori dei processi amministrativi sono travolti. Si insegue il profitto a tutti i costi, senza scrupoli e senza indugi. Così si ricorre ai subappalti, invenzione di grossi flussi di guadagno ed enorme sfruttamento della classe operaia. Un esempio per tutti la Ferrovia dello Stato in passato utilizzava dipendenti nella manutenzione delle carrozze, oggi ricorre ad operatori esterni.

Nel 1750 il grande economista, Adam Smith, dichiarava che il lavoro è un atto penoso: ci si riferiva a lavori delle miniere principalmente; nel tempo il lavoro è migliorato con l’avvento dell’industrializzazione e l’operaio è divenuto una macchina vivente e alienante, etichettato da Karl Marx come sfruttamento e alienazione; finalmente nel secondo dopoguerra e in particolare negli anni 60-80 il lavoro ha assunto una dimensione etica accettabile e gratificante, in cui il cittadino s’immedesimava e si realizzava, anche grazie a un sindacato solido e forte; il crollo è avvenuto negli ultimi venti anni  con l’affermazione dell’efficientismo selvaggio: pochi posti di lavoro, in condizioni di lacerazione psicologica, con tecniche irrazionali a scapito dell’utenza. Quando l’efficientismo si abbina alla sofisticazione scattano meccanismi deleteri e spesso si associano al cinismo, creando una miscela esplosiva per destinatari, che sono i lavoratori e i cittadini.


[1] Il termine sofisticazione ha due significati: il primo riguarda un’alterazione dolosa o colposa rispetto alla genuinità di un prodotto; il secondo inerisce a materiali e lavorazioni del più elevato livello tecnico. Le metodologie oggi applicate attengono ad ambedue i significati, con una propensione verso la prima accezione.

[2] L’argomento viene ampiamente trattato nel libro “Efficientismo selvaggio come icona”, ed. Il filo Filo di Arianna dello stesso autore.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.