Feticismo del mercato finanziario. Il focus di Giuseppe Rocco

L’affermazione dei cosiddetti strumenti derivati hanno invaso i territori, lusingando per la soluzione nel breve periodo ma radicalizzando pecche strutturali nel tessuto socio-economico. Una crisi di un intermediario di grosse proporzioni determina danni a catena sugli altri operatori del mercato. Il caso tipico resta l’evento del 2007/2009 relativo al segmento di mercato statunitense, quello dei mutui per la casa a favore delle famiglie meno agiate.

La crisi ha investito l’intero sistema bancario e finanziario mondiale. Questo esempio pone a demerito dell’impostazione del mercato finanziario e delle politiche del Fondo monetario internazionale, incapace di prevedere e di gestire situazioni tipiche per il proprio ruolo. Le evidenti deviazioni mostrate da una finanza incontrollata indicano la mancata gestione di un fenomeno esuberante e irreversibile della globalizzazione e confermano la necessità di riformare l’architettura internazionale degli istituti multilaterali. In altre parole non possiamo assistere all’imperversare di banche di investimento strumentale, di fondi speculativi (hedge funds) e strumenti di finanza derivata che vanno ad alterare la produzione e l’economia reale, lasciando l’umanità in una condizione precaria e incerta, sempre incline a subire crisi a catena, inquietanti dislivelli, rabbia espressa e inespressa all’impotenza dello Stato.   

Proprio lo Stato non riesce a controllare il capitale, il quale non ha fissa dimora e controlla flussi finanziari al di sopra delle Nazioni. L’effetto complessivo è che la paura aumenta di continuo per l’insicurezza. L’unico rimedio appare la presa di coscienza a livello mondiale, per poter assumere una Convenzione sulle Borse valori in modo da evitare le speculazioni e desistere dal mercato dei derivati, veri imbrogli al mercato effettivo. Nella prima parte del secolo attuale è apparsa una grande crisi finanziaria che ha coinvolto tutti i settori.

La struttura economica e il commercio internazionale sono mutati anche per l’avvento di altri fenomeni, come l’arrivo sulla scena internazionale della Cina, il problema dell’approvvigionamento energetico, la competizione per l’accesso alle materie prime, la crescita dell’inquinamento, il rapido aumento dell’esodo di popolazioni povere e sottoposte a guerre fratricide. Inoltre la Governance è cambiata con la sostituzione del G7 con il G20, presentando una maggiore dialettica e conoscenza del programma internazionale. In tal modo il baricentro mercantile si sta spostando verso l’Asia, per l’emergere di quei Paesi. La polverizzazione del blocco socialista e la fine della conseguente guerra fredda sono stati erroneamente interpretati come la vittoria del capitalismo globale. Gli Istituti internazionali multilaterali, che sono sorti per omogeneizzare e favorire l’elevazione del tenore di vita, sono rimasti ancorati a vecchi schemi non più aderenti alle esigenze dei popoli.    

La molla che ha fatto peggiorare i rapporti mercantili è stata la diffusione delle Corporazioni su scala planetaria attraverso accordi commerciali. Gli interventi degli istituti finanziari internazionali (WTO, FMI, Banca mondiale) hanno continuato nelle spinte liberistiche tout court, aiutando la circolazione di flussi di capitali. Così le Nazioni bisognose di finanziamenti, devono ridurre radicalmente le spese di Governo nella sanità, nell’istruzione e nell’assistenza sociale, privatizzare le aziende di Stato, togliere restrizioni agli investimenti esteri, tagliare salari e indebolire i meccanismi di tutela. Purtroppo tale politica viene mutuata dall’Unione europea, in un processo di imitazione degli standard americani per recuperare la ripresa. Queste politiche improntate al capitalismo liberale sono irrispettose e incapaci di risolvere l’assetto socio-economico delle Nazioni.

Il percorso fenomenologico della globalizzazione non si può frenare, ma l’impeto non va strumentalizzato con il capitalismo: gli interventi devono tener conto della salvaguardia dell’ambiente, dei diritti della sicurezza e del lavoro, della dignità degli individui, del rispetto culturale dei territori. Il mercato va impostato senza le insidie perniciose delle Corporazioni, delle multinazionali e degli speculatori. Banca Mondiale e Fondo mondiale internazionale accrescono la povertà, poiché elargiscono ingenti somme agli enti locali, i quali si apprestano a resistere ai mutamenti sociali. Nel contempo le Corporazioni vengono dilatate, creando un circuito perverso tendente ad accrescere la forbice delle risorse. In altre parole la globalizzazione è divenuta ancella del capitalismo.

Non si può arginare il flusso della storia, ma nella Borsa hanno acquisito un grosso ruolo alcuni strumenti di speculazione come i derivati, che stanno negativamente trasformando l’economia mondiale al servizio di “pezzi di carta” in mano ad holding e Corporazioni. Si sta verificando quel fenomeno sociologico di idolatria del mercato finanziario, che rovescia il rapporto sociale delle persone verso le cose: gli uomini si trovano sotto il controllo di queste anziché averle sotto il proprio controllo. Il discorso interessa direttamente l’Italia che per entrare nell’euro ha sottoscritto derivati come assicurazione sul nostro debito. Così miliardi di euro escono dalle casse pubbliche, per arricchire le banche d’affari con cui abbiamo sottoscritto questi derivati.  L’Italia è la nazione che paga di più per i derivati: da sola supera il totale delle 19 dell’eurozona, fermo a 16 miliardi. Certamente apprendiamo un dato sconcertante: il mondo finanziario distorto ci propone uno strumento ovviamente anomalo e noi italiani ne profittiamo con eccessivo impegno. Un servizio di Report cita una voragine di 42 miliardi, regalati alle banche; operazione realizzata senza porre i cittadini al corrente i quali hanno saputo in ritardo della giostra per entrare nell’euro.

La storia dei derivati è lunga. Ne abbiamo sentito parlare per lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena con tutte le conseguenze. L’azzeramento delle speculazioni, un sogno socio-economico, non esime completamente dalle crisi internazionali. Restano altre cause che possono produrre alterazioni nel sistema finanziario, come la caduta del prezzo del petrolio. Gestire la Borsa valori e liberare le operazioni finanziarie da falsi miti e giochi di potere sono gli unici strumenti che possono prevenire sconcerti nella finanza internazionale.

Sul piano allegorico e concettuale, l’allusione al feticismo richiama un oggetto adorato come divinità oppure come attrazione fanatica (feticcio) in uso rituale presso i popoli primitivi. Il feticismo si esprime come forma di adorazione di feticci, ovvero di oggetti o istituti ritenuti ricchi di poteri magici. Nel tempo l’adorazione per gli oggetti è stata superata, grazie alla civiltà che ha utilizzato le leve del progresso, ma sono rimaste le mode sociali non certamente naturali, ma sospinte in modo speculativo. Per vendere un prodotto diventa utile rappresentarlo in modo eccezionale e dotato di elementi di gaudio o serenità. Siamo nel campo della pubblicità commerciale, accettata da tutti i cittadini, anche nell’intento di conoscere le peculiarità del prodotto propagandato.

L’evoluzione sociale è andata oltre, asservendo le regole basilari dell’economia e creando una specie di sorgente del piacere economico, basato sul guadagno rapido, ricorrendo al mercato finanziario, il quale ha creato un tempio sublime e immateriale, la Borsa Valori. Stiamo parlando di una istituzione sana a disposizione degli operatori economici, che nel tempo è stata deturpata e avvilita, avendo travisato le regole sane del gioco e per le quali era sorta. La caduta di tono ha registrato una serie di compromessi e di variazioni, sino alla tirannia dei derivati, sorti per alterare le sorti delle aziende, in particolare creditizie. Il mondo si è fermato ammaliato ed ha accettato il nuovo corso come accade nell’idolatria, senza correre ai ripari, cioè senza apportare quegli argini per difendere la legalità dell’istituzione. L’attività finanziaria prosegue all’insegna del liberalismo economico, che certo è accettabile in via di massima, salvo evitare il modo incontrollato e selvaggio. Così le aziende incontrano ostacoli inquinanti, subiscono perdite inspiegabili, rischiano il fallimento.

Sino a quando le Autorità competenti e gli Stati occidentali non recepiscono l’entità del danno e sino a quando non si pongono paletti solidi alla vertiginosa morsa della finanza sfrenata, assisteremo continuamente ad episodi di crisi nazionale e internazionale non gestibile sugli effetti. Si tratterà di agire a monte, nel rendere idonea l’istituzione, che opera su tutto il pianeta, assicurando la normale gestione nei vari passaggi di moneta figurativa (azioni, obbligazioni, ecc.). 

Nel sistema finanziario sempre più esteso e diffuso sino a inquinare l’economia reale, il sistema bancario diviene il combustibile per il patrimonio capitalista. Partendo da questo presupposto, dobbiamo tener conto che lo sviluppo dell’economia può aver bisogno del debito, argomento controverso e discusso nell’Unione europea.

In altri termini la finanza crea debito per finanziare le attività produttive; purtroppo ora la finanza cerca di finanziare la finanza, venendo meno al ruolo socio-economico e cedendo agli interessi di pochi speculatori. Anziché divenire motore di investimenti per propiziare crescita e innovazione, le banche prestano denaro a chi maneggia denaro. In tal modo gli istituti di credito si inquinano e diventano il sintomo della frequente cultura clientelare del Paese. Una politica creditizia a beneficio dell’industria manifatturiera diventa un’azione prioritaria per sperare nello sviluppo del Paese, altrimenti tutti i messaggi diventano puri simboli, strumentalizzati a richiamare voti alle elezioni.

Per comprendere meglio il problema bisogna ricordare che Il liberalismo è il padre legittimo della globalizzazione, la quale determina una sempre più accentuata differenza fra soggetti. Ne scaturisce una sorta di problematiche sociali, quali crisi economica, impennata migratoria, accensione dei populismi e terrorismi. All’alba del terzo millennio, si è accresciuto il livello di diseguaglianze, senza che gli Stati possano intervenire a bloccare il vento internazionale della globalizzazione incontrollata.

La diseguaglianza non fa bene in via di massima, salva la possibilità di riconoscere risorse maggiore a chi impegna le proprie attività. L’egualitarismo alla cinese dei tempi del presidente Mao non viene auspicato, in quanto imponeva a tutti lo stesso stipendio, lo stesso appartamento, la stessa casacca. La nuova schiavitù produce rischi innegabili: asservimento del più debole al più forte, minaccia alla crescita economica e l’attuale esodo di intere popolazioni. Secondo un’indagine sui Paesi europei (Eurostat 2012), gli Stati più egualitari nel 2005 hanno raggiunto il migliore assetto nel 2010, incrementando sia il PIL che l’occupazione. Allo stesso G20, i leader del mondo hanno richiesto meno disuguaglianze per favorire l’economia. Tutte le manovre sono utili ed interessanti, ma a monte occorre intervenire con un congelamento dell’adorazione della Borsa valori e liberarsi del feticismo del mercato finanziario, in una concezione di equilibrio fra libertà e controllo.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.