Il Convento del diavolo di Carmine Leo. Un romanzo per salvare la Storia
Abbiamo già avuto modo di trattare di questo volume, ma credo sia necessario mettere in evidenza alcuni altri aspetti che emergono dal racconto.
Nel contesto dell’invasione francese che, con la discesa di Napoleone in Italia, caratterizzò i primi anni del XIX secolo si sviluppa la vicenda narrata da Leo nel romanzo Il Convento del Diavolo, ed. Albatros, incentrata sull’epopea di Fra Diavolo. Il brigante, patriota, colonnello borbonico, conte di Cassano, viene dipinto nella sua umanità, negli affetti famigliari, nella coerenza di idee che contraddistingue un personaggio con cui facilmente si fa corpo. Nella vicenda prende spazio un’altra figura storica: il colonnello francese Hugo, di cui conosciamo il figlio Victor, grande scrittore. È lui che si confronta con il brigante, lo cattura, gli manifesta la sua ammirazione e cerca di salvarlo dalla forca.
Dalla descrizione dei personaggi viene fuori un’umanità che la storia molte volte non restituisce. Ma al di sopra di tutti di staglia una figura imponente, quella di Rachele, moglie e compagna di avventura del leggendario Fra Diavolo, al secolo Michele Pezza. La donna viene descritta come intraprendente e determinata, pronta ad affrontare il pericolo, capace di prendere decisioni e di metterle in pratica, impavida di fronte al grande pericolo che corre. Attorno a lei si muovono altre due figure femminili determinate e coraggiose: Sofia, l’amica che rischia la sua sicurezza per aiutare Michele e dare il suo contributo alla causa borbonica e la madre Filomena, pronta a sostenere la figlia, anche conoscendo i rischi che corre.
Rachele trova la forza e il coraggio nell’amore incondizionato verso il suo compagno, ma anche verso i tre piccoli figli, eppure non esita a ragionare sull’esito della vicenda e a confrontarsi con il marito alla luce dell’opportunità di una scelta difficile. È una donna che prova pietà e sa riconoscere le situazioni in cui versa l’animo umano in condizioni di disagio, trova una rinnovata fede nell’esempio dei monaci del Convento dell’Incoronata di Sant’Angelo a Scala, che l’hanno curata e accudita quando era in fin di vita, e guarda al futuro con speranza.
Sullo sfondo di una vicenda che diventa personale la ragione di stato dell’invasore francese, impegnato a consolidare la sua supremazia a costo di mettere le mani su ciò che un popolo ha di più sacro, le sante mura di un monastero, colpevole di avere esercitato i dettami della carità cristiana. Eppure qui sono gli uomini a provare pietà, almeno per la chiesa del complesso abaziale. Una pietà di cui l’autore, con una vena lievemente polemica, rimarca l’assenza in chi avrebbe dovuto tutelarne l’integrità.
La chiesa, risparmiata dai francesi, fu di fatto espoliata delle sue bellezze e degli arredi dai parroci delle chiede del territorio circostante e finanche della cattedrale di Avellino. Ma ciò che oggi sta più a cuore all’autore di questo romanzo, amante focoso del suo paese, è che il sito, che è stato recentemente oggetto di lavori di recupero, venga protetto e messo a disposizione di chi voglia conoscerne la storia e che Sant’Angelo a Scala possa attirare l’attenzione di turisti e di studiosi, come merita.
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